“Gli operai non votano per formazioni elitarie”. Parto da questa considerazione di Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom (intervista al Corriere della sera), per tentare un ragionamento sul voto di domenica scorsa e sulle prospettive della sinistra italiana (almeno di quello che resta). Ho votato Pd. L’ho fatto da sinistra, anche se non vedo ancora nel partito di Veltroni quell’anima laica, riformista, libertaria, che fa parte del mio bagaglio culturale. Non mi riconosco nel Pd, ma l’ho votato. Per due ragioni precise. Innanzitutto perché penso che W. abbia contribuito in maniera decisa a semplificare un sistema politico appesantito da una miriade di partitini sanguisuga. E poi perché era un modo, forse l’unico, per tentare di fermare l’avanzata della destra berlusconiana. Ho votato Pd sperando almeno in un “pareggio” al Senato. Così non è stato. Berlusconi ha stravinto, la sinistra (ma quale?) è scomparsa dal Parlamento. Eppure non vedo in questo risultato elementi drammatici. Né pericoli per la cara vecchia repubblica italiana, come alcuni commentatori (di sinistra, ma quale?) si sono affrettati a scrivere. Mi spiego: chi urla allo scandalo perché l’accozzaglia arcobaleno non ha rappresentanti in Parlamento, dimentica che si è votato in modo democratico (certo, con un sistema elettorale assurdo, ma nel 2006 qualche seggio con il “porcellum” lo avevano preso). Sono gli elettori che hanno bocciato questa sinistra. Non è stato né il pressing di Veltroni né altro. Ed è ridicolo ripetere – quasi a voler narcotizzare la pesante sconfitta – la solita solfa di un Cavaliere divoratore delle regole democratiche. I giornali in questi giorni si soffermano molto sulle truppe post-comuniste e pseudo-ambientaliste che lasciano i palazzi della politica. Ma davvero i Pecoraro Scanio, i Caruso, i Giordano, i Bertinotti, i Diliberto rappresentano la sinistra italiana? Mentre Berlusconi rafforzava nella società il suo (contestabile) progetto politico, loro si limitavano a frequentare salotti buoni, a far sfoggio di letture e di librerie stracolme di parole al vento, a interpretare il terremoto culturale che attraversa l’Italia con modelli vecchi e fuori dalla realtà. E il risultato è sotto gli occhi di tutti. Giovani che scelgono di non votare o che – peggio ancora – urlano vaffanculo telematici, operai (quelli che rimangono) che abbracciano la bandiera leghista, un ceto medio impoverito e privo di sogni. La sinistra ha perso perché è diventata “elitaria”. Perché non ha abbandonato la demagogia dell’accoglienza senza se e senza ma quando si trattava di affontare il tema dell’immigrazione; perché non ha saputo parlare a chi ogni giorno percepisce l’insicurezza perfino nel passeggiare nelle strade della propria città; perché – dopo averle progettate – ha dimenticato le periferie; perché non ha fornito risposte convincenti alla precarizzazione del mondo del lavoro; perché ha perso le radici “popolari”; perché non riesce più a dare speranze. Berlusconi un progetto politico ce l’ha e riesce pure a comunicarlo bene con i tanti mezzi a disposizione. Ma gli strumenti per contrastarlo ci sono: per fortuna non viviamo in dittatura. Per questo sono convinto che la batosta elettorale può servire. Innanzitutto a ragionare su un modello politico-culturale alternativo a quello del Biscione, elemento che è sempre mancato da Tangentopoli in poi. E a metterlo in pratica, riconquistando credibilità in quella parte dell’Italia delusa e impoverita. Veltroni ci ha provato, anche in modo goffo. Ma ci sono cinque anni per correggere il tiro. Il Pd ora deve decidere cosa fare da grande, elaborare un progetto di cambiamento che non può guardare solo ai “moderati”. E se la sinistra riuscirà ad abbandonare retorica e salotti (forse) non moriremo berlusconiani.
Da elitario ex elettore di Fausto e astensionista non convinto da W, sottoscrivo tutto quello che scrivi.
Sono d’accordo su tutto ma non riesco ad essere altrettanto ottimista sul futuro, anche su quello a medo termine. Perchè mi sembra che i cambiamenti intervenuti nella società italiana, in maniera “interclassista”, abbiano genereto modificazioni quasi antropologiche in un popolo che già non brillava per senso civico e che adesso è largamente – non totalmente ma largamente – appiattito su modi di vivere e di pensare che sono ben rappresentati da un venditore di professione (non un dittatore..) come Berlusconi. E per cambiamenti profondi come questi il lavoro da fare – trovandone capacità, voglia, mezzi – non si esaurisce nell’arco di una legislatura. Ma magari è solo che c’è bisogno di un pò di tempo per metabolizzare..